Natale di fame e bombe a Gaza

Per il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pizzaballa, in Terra Santa servirebbe una nuova leadership per costruire chiare prospettive di dialogo, confronto, trattative per allentare la tensione e ripristinare una prospettiva di convivenza.
I palestinesi feriti negli attacchi aerei israeliani arrivano all'ospedale Nasser nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza (AP Photo/Mohammed Dahman).

Tratto dal quotidiano online The Times of Israel del 18 dicembre 2023: il portavoce militare israeliano Daniel Hagari in una video-dichiarazione ha detto – secondo quanto riportato nell’articolo –: “adottiamo molte misure per cercare di ridurre al minimo i danni e le sofferenze dei civili”. Ha aggiunto che le Forze di Difesa israeliane mettono in guardia i civili prima degli attacchi “ogni volta che è possibile”. E prosegue: “Interrompiamo gli attacchi quando individuiamo una presenza civile imprevista. E scegliamo le munizioni giuste per ciascun bersaglio, per non causare danni inutili. Inoltre raccomandiamo ai civili di allontanarsi temporaneamente dalle aree di intensi combattimenti”.

Di fronte ad affermazioni come queste, mi affiora il ricordo delle tristemente famose “bombe intelligenti” di Desert Storm, trent’anni fa, che avrebbero magicamente distrutto solo obiettivi militari senza sfiorare le case circostanti e i loro abitanti. Secondo quella “teoria”, inoltre, la responsabilità dei bombardamenti cosiddetti intelligenti era tutta e soltanto dell’unico colpevole di aver leso il diritto internazionale (leggi: Saddam Hussein), così come adesso le fonti militari e governative israeliane vorrebbero attribuire ad Hamas la responsabilità per la strage di 20 mila civili palestinesi (in maggioranza bambini e donne), uccisi da bombe israeliane nella Striscia di Gaza ma anche dai coloni (protetti dall’esercito) in Cisgiordania; e per le condizioni disperate e disumane di fame e malattie in cui vengono costrette 2 milioni di persone senza futuro, che hanno solo il dovere di andarsene ma non il diritto di vivere.

Non è certo in discussione la responsabilità di Hamas per l’orribile strage di cittadini israeliani del 7 ottobre, ma la risposta a quella strage è una “vendetta di stato” contro un popolo umiliato per decenni da un violento apartheid, e accusato a priori e indistintamente di connivenza con Hamas, senza voler inoltre considerare che Hamas è armato e sostenuto da potenze straniere. La “vendetta di stato” che Netanyahu e il suo governo stanno ostinatamente perseguendo, fra il resto, ha ben poco a che fare con quella democrazia che Israele ha proclamato fin dalla sua fondazione nel 1948 e nella quale la maggioranza dei suoi cittadini si riconosce, diversamente dalle mire autoritarie di un governo probabilmente non più sostenuto dal consenso popolare, che non è mai stato stellare.

In questi giorni, il patriarca latino di Gerusalemme, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, sulla linea degli appelli di papa Francesco, ha espresso posizioni nette sulla situazione, come riferisce Dario Salvi per Asianews (19 dicembre 2023): «Nelle scorse settimane il primate latino ha incontrato i parenti delle vittime e degli ostaggi, ma non solo loro, perché [ha detto]: “è necessario incontrare tutte le realtà che sono fra noi. In questo momento sembra che delle due parti [israeliana e palestinese], ciascuna voglia avere il monopolio del dolore, ma non è così”, perché questa tragedia riguarda tutti». E il giornalista di Asianews commenta, riferendo le pesanti parole del cardinale: «non vi è traccia di umanità, le vittime civili e le sofferenze di milioni di persone sembrano essere relegate ai margini della storia che si sta scrivendo in queste settimane di conflitto folle… Ecco perché sembra necessario, per quanto improbabile, un ricambio a livello di guida per poter tornare a dialogare, a costruire invece di abbattere e uccidere. “Adesso – afferma il patriarca latino – servirebbe una nuova leadership” perché con quella attuale “non credo sia possibile costruire chiare prospettive” di dialogo, confronto, di trattative tanto dure e dolorose quanto necessarie, per allentare la tensione e ripristinare una prospettiva di convivenza».

Il cambio di leadership alla quale il cardinale allude è ovviamente quella dell’attuale governo israeliano, ma non sarebbe superflua anche una nuova prospettiva per l’Autorità Palestinese, da troppo tempo completamente esautorata sia all’esterno che all’interno.

Le sfide che si addensano in questi giorni su Gaza, dopo oltre 80 giorni di bombardamenti, amplificano la tragedia del conflitto israelo-palestinese allargandolo pericolosamente. Tra le molte domande inquietanti che emergono dall’attuale situazione, quella che fa paura è il crescente rischio di estensione della guerra. L’atteggiamento del governo israeliano (no agli aiuti umanitari per i palestinesi, no ad un armistizio se non la resa, conta solo l’annientamento di Hamas, ecc.), ha fatto terra bruciata di ogni briciola di dialogo faticosamente conquistata e rischia di scatenare la reazione violenta, e dalle conseguenze funeste, dell’Iran (che minaccia di bloccare del tutto il Mar Rosso e Suez, cioè il Mediterraneo), della rete di gruppi armati sostenuti da Teheran in Libano, Siria, Iraq, Yemen e nella stessa Palestina, e di grandi potenze anti-Usa e anti-Nato. Netanyahu non sente ragioni, brandisce la retorica dell’attacco alla democrazia mondiale (purtroppo seguito in questo anche dal presidente Usa, Biden) e non si ferma di fronte a nulla, come dimostra non solo lo sterminio di civili palestinesi, ma anche il fuoco amico contro alcuni ostaggi, i cecchini che sparano su tutto ciò che si muove e, non ultima, anche l’uccisione sotto le bombe di 136 addetti Onu.

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